(Articolo tratto da Il Fatto Quotidiano del 19/01/2020)
di Renzo Motta* e Giorgio Vacchiano**
Da alcuni mesi è in rete la petizione “Foreste italiane: un patrimonio inestimabile sotto attacco”. Questo documento ha ottenuto migliaia di firme – un segnale confortante dell’attenzione dei cittadini alle tematiche forestali e ambientali – ed è stata ripresa da vari media, compreso il blog di Fabio Balocco su ilfattoquotidiano.it. La petizione propone spunti fondamentali per il dibattito ecologico, politico e scientifico, ma li argomenta con analisi errate della situazione ambientale e normativa del Paese, giungendo a capovolgere la realtà sullo stato delle foreste italiane.
In Italia la superficie forestale è quasi triplicata nell’ultimo secolo. Le foreste stanno aumentando non solo in superficie ma anche in termini di volume della biomassa legnosa e di carbonio immagazzinato negli alberi e nel suolo. Pertanto, sostenere che in Italia “le volumetrie forestali… risultano molto ridotte a seguito dei tagli” e che sia in atto un “vero e proprio sacco boschivo” è un ribaltamento della realtà.
Affermare che “i boschi vengono valutati in primo luogo per i loro aspetti produttivi” è inoltre ingiustificato: nessuna legislazione forestale nazionale, regionale o provinciale contiene alcun riferimento ad una priorità degli aspetti produttivi. L’Italia è il paese dell’Europa continentale che ha il più basso rapporto tra legno prelevato e accrescimento delle foreste (21%) e il più elevato livello di tutela (il 30% delle foreste italiano ha un vincolo naturalistico, l’85% ha un vincolo idrogeologico e il 100% ha un vincolo paesaggistico). I tagli abusivi o non conformi alle leggi (che configurano un reato penale) sono un problema reale, più diffuso in alcune parti del paese, ma hanno una incidenza marginale sulla superficie e la biomassa delle foreste italiane.
Inoltre, il limitato prelievo legnoso ha come conseguenza che l’80% del fabbisogno legnoso nazionale è importato dall’estero. Nonostante le severe direttive dell’Unione Europea, si stima che circa il 20% di questo sia di origine illegale e contribuisca direttamente o indirettamente al degrado delle foreste di altri paesi (in particolare quelle tropicali).
Per quanto riguarda l’utilizzo della biomassa per la trasformazione energetica, a differenza di quanto sostiene la petizione, non esistono incentivi economici all’uso dei boschi a fini energetici. Ci sono incentivi per la costruzione di impianti a biomasse, che però dipendono dalle politiche industriali ed energetiche – non da quelle forestali. Le petizioni sottoscritte dagli scienziati stigmatizzano non l’uso delle biomasse, ma gli incentivi alle grandi centrali energetiche, che provocano meccanismi distorti a livello globale e contrastano con l’uso del legno “a cascata” e lungo filiere corte, che rappresenta un utilizzo virtuoso sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale che della mitigazione della crisi climatica.
La più grande pressione a cui sono sottoposte le foreste italiane proviene invece dal cambiamento climatico causato dall’uomo e dall’aumento della frequenza e severità degli eventi estremi. Sostituire la selvicoltura con l’arboricoltura su terreni non boscati, come suggerisce la petizione, significherebbe non solo esporre la produzione di legno all’incostanza dell’assenza di un vincolo al mantenimento della destinazione d’uso a bosco, ma anche accettare che le foreste attraversino fasi non compatibili con la sicurezza dei cittadini nelle zone di contatto urbano-foresta, e abbandonare la possibilità di utilizzare gli strumenti della gestione forestale “climaticamente intelligente” per aumentare la resistenza e la resilienza delle foreste naturali e dei loro benefici ai cambiamenti climatici.
In un momento in cui la lotta alla crisi climatica richiede pieno supporto alla ricerca scientifica e una informazione semplice, completa e corretta dei cittadini, le voci che usano l’etichetta “ambientale” per trasmettere messaggi falsi, mescolati a verità scelte ad arte o in contrasto con le fonti di dati, contribuiscono ad alimentare confusione e dubbi che possono essere strumentalizzati dai negazionisti. È quindi compito del mondo scientifico, ma anche di chi si occupa professionalmente di informazione, verificare le fonti dei dati e contribuire alla diffusione di una corretta comunicazione ambientale.
* Università degli Studi di Torino, Presidente Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale
** Università degli Studi di Milano, Responsabile della comunicazione Sisef